IL MITO OCCIDENTALE DELL’ARRETRATEZZA TECNOLOGICA SOVIETICA: COME L’URSS SVILUPPO’ LA SCIENZA INFORMATICA

di Luca Baldelli

Che gli Usa abbiano inondato il mondo intero di disinformazione, sparsa a piene mani grazie al fatto che almeno l’80 % dei media sono controllati da imperialisti e sionisti, è, se non verità di dominio comune, almeno consapevolezza largamente diffusa. Pochi, pochissimi, però, parlando di informatica e di acquisizioni nel campo della robotica e della telematica, associano il nome dell’Urss a questi ambiti, rimanendo prigionieri degli idola fori di una presunta arretratezza sovietica alla quale si contrapporrebbero, indiscutibilmente, i prodigi, le magnifiche sorti e progressive della scienza americana, l’unica in grado di imporsi ai quattro angoli del mondo. Del resto, le pubblicazioni ufficiali, scientifiche, mediche, statistiche circolanti nel mondo occidentale, abilmente filtrate e manipolate dagli uffici di guerra psicologica dei servizi segreti, hanno steso da sempre un cordone impenetrabile di false notizie, esagerazioni, dati errati, silenzi tombali, attorno a quella che, invece, è stata la scienza più sviluppata e avanzata : quella dell’Urss e del campo socialista. Non si doveva, non si deve e non si dovrà sapere mai che Paesi passati in pochissimi anni dal feudalesimo al socialismo sviluppato, alla modernità più ricca e a misura d’uomo, avevano un potenziale scientifico e tecnologico di impareggiabile potenza e raffinatezza, non certo soltanto nel settore degli armamenti, come una propaganda falsa e bugiarda ha teso ad accreditare, dimenticando tra l’altro che, in Urss, senza il settore militare e le sue produzioni, mai i civili avrebbero potuto usufruire di lavatrici e altri elettrodomestici che duravano il doppio almeno di quelli occidentali, ad obsolescenza programmata. Di questo e di altri aspetti sarà bene occuparsi, per smentire e smontare, con il cacciavite della verità storica, l’impalcatura menzognera di tutto un filone propagandistico, ammantato di “ rigorosa oggettività “. Parlando di informatica, l’URSS non è stata affatto il paria della comunità scientifica mondiale, ma, al contrario, l’apripista per tutta una serie di acquisizioni e sviluppi dei quali beneficiamo oggi anche noi, ingrati occidentali. In Unione Sovietica esistevano le più avanzate, operative ed efficienti Accademie scientifiche del mondo ( si pensi alla Città di Novosibirsk e al suo centro scientifico di Akademgorodok ), secondo le stesse ammissioni di illustri scienziati dell’area anglosassone. Nel 1945, con le macerie del confronto bellico ancora fumanti, nei laboratori sovietici si festeggiò la creazione dei primi macchinari analogici ( AVM ) con soluzioni a ripetizione, avvenuta grazie all’indefessa opera della squadra di scienziati e tecnici capitanata dal grande matematico Leo Izrailevic Gutenmakher ( 1908 – 1981 ), Premio Stalin 1946 . L’occidente cominciò allora a parlare di “ spionaggio “ sovietico, come se ad ogni traguardo che l’Urss conquistava si dovesse sempre, necessariamente, abbinare un’azione di “ furto “ intellettuale. Una colossale montatura, questa, con la quale si nascose per molto tempo, e si continua a nascondere oggi, l’arretratezza di interi settori tecnologici, scientifici e industriali dell’occidente, rispetto ai corrispondenti settori sovietici, quantunque fortemente colpiti, con distruzioni mai viste altrove, dalla guerra. La storia della bomba atomica, del resto, ci dimostra che i sovietici arrivarono ben prima degli occidentali a studiare e concepire il micidiale ordigno e che solo per lo scrupolo di informarsi sui passi mossi in tale campo dall’occidente, si avvalsero della collaborazione ( peraltro spontanea, e in un certo senso anche legale, in quanto legata ai vincoli della coalizione antifascista ) di scienziati operanti negli Usa, optando alla fine per il confezionamento di un ordigno sulla base di quello partorito a Los Alamos ( meno potente, peraltro, di quello ipotizzato nei laboratori sovietici ), per essere sicuri circa una maggiore tempestività di realizzazione (l’accerchiamento capitalista era una realtà e non una paranoia moscovita ! ). Tornando al nostro tema, dobbiamo sottolineare che l’Urss, finita la Seconda Guerra Mondiale, poco o nulla sapeva della macchina americana ENIAC, primo computer al mondo nei programmi di controllo automatici. Le acquisizioni sovietiche, quindi, marciarono parallele rispetto a quelle statunitensi, anche perché la collaborazione scientifica, nel clima della guerra fredda, era pari quasi a zero e gli accorgimenti nella difesa dei segreti scientifici e industriali sempre più rigorosi e stringenti. L’ENIAC e i macchinari AVM erano pertanto due preziose conquiste del mondo scientifico, assolutamente dotate di dignità, originalità e pregi ognuna per suo conto. Nel 1948, l’Accademico S.A. Lebedev ( 1902 – 1974 ), fondatore degli studi informatici modernamente intesi in Urss, iniziò a concepire il primo, vero sistema informatico avanzato. Senza prendere in prestito alcun contributo teorico e pratico occidentale, nel 1950 si giunse all’assemblaggio del primo computer sovietico : il “ MESM “ (acronimo di “ Piccola macchina elettronica di elaborazione “ ), capostipite dei calcolatori elettronici dell’Urss e dell’Europa continentale tutta, installato, la prima volta, in un ex convento vicino a Kiev e testato da scienziati di primo piano quali M.V. Keldysh (1911 – 1978 ). Il “ MESM “ venne concepito a tempo di record, grazie allo spirito eroico di servizio alla Patria socialista da parte di un equipe di 12 scienziati e 15 tecnici di alto profilo. Nel suo corpo, complesso e delicato, pulsavano i “ battiti “ di 6000 valvole termoioniche. Quando il “ MESM “ fu lanciato, in Europa si era ancora fermi al britannico EDSAC (Electronic Daily Storage Automatic Calculator ), concepito dall’IBM, che nel 1949 aveva elaborato appena una lista di numeri primi e calcolato i quadrati dei numeri interi da 0 a 99. Il “ MESM “, rispetto al rudimentale EDSAC, era molto più potente, efficiente e rapido nella computazione, tanto da meritarsi il podio di primo calcolatore elettronico vero e proprio. Da notare il fatto che il “MESM “ utilizzò fin dal primo momento il sistema binario, costituito dai due soli simboli cardine 0 e 1, quando l’ENIAC statunitense impiegava ancora quello decimale. Più o meno nello stesso periodo, precisamente alla fine del 1948, Isak Semionovich Bruk (1902 - 1974) e Bashir Iskandarovich Rameev ( 1918 – 1994 ) , nel quadro dell’ Istituto di ricerca sull’energia “G.B. Krzhizhanovskij”, misero a punto un computer rivoluzionario, diffuso a partire dal 1950 / 51 : il primo computer a diodi anziché a tubi a vuoto ! Un altro sistema, il macchinario “TSEM – 1”, fu messo in funzione nel 1953 presso l’Istituto sovietico dell’Energia Atomica e superò in tutto e per tutto, definitivamente, l’EDSAC. L’equipe di Lebedev, però, non si fermò ; era ormai inarrestabile l’entusiasmo per le nuove, rivoluzionarie acquisizioni, destinate al progresso dell’economia e della società sovietiche. Nell’autunno del 1952, dopo che lo scienziato coordinatore dei progetti era entrato a far parte della prestigiosissima Accademia delle Scienze dell’Urss, venne concepito il “ BESM – 1 “.
Besm è, in russo, l’acronimo di “ Grande Macchinario Elettronico – Informatico “. Un computer portentoso, il “ BESM – 1 “, capace di eseguire ( eccezionale, per allora) dalle 8 alle 10.000 operazioni al secondo . Un calcolatore con ben 5000 valvole termoioniche ( o tubi a vuoto ) per il controllo della corrente elettrica tra gli elettrodi. L’occidente nulla sapeva di questi passi da gigante e continuava a cullarsi nella presunzione della propria, inesistente superiorità, prima ingenuamente vissuta poi mendacemente imposta a tutto il mondo. Quando a Darmstadt Lebedev, nel corso di una conferenza, parlò della ricerca sovietica nel campo dell’informatica, gli scienziati occidentali balzarono attoniti sulle sedie, nel constatare come il “ BESM – 1 “ fosse il computer più potente e avanzato d’Europa. Nel 1958, visto il successo del primo modello, fu la volta del “ BESM – 2 “, versione avanzata e ulteriormente perfezionata. Grazie ai cospicui investimenti statali nella ricerca, l’Urss macinava un traguardo dopo l’altro , facendo restare, se non al palo, indietro di molti chilometri tutto il resto del mondo. La riservatezza, vitale per un Paese accerchiato, piano piano veniva tolta e, attorno alle conquiste scientifiche del primo Paese al mondo con gli operai e i contadini al potere, si stendeva pian piano il velo della disinformazione, dell’invidia, dello spionaggio . Non mancarono mai, comunque, scienziati e intellettuali occidentali, amanti della pace e del progresso, i quali collaborarono sempre lealmente con l’URSS, riconoscendo i suoi successi con onestà intellettuale e trasparenza.
Dal “ BESM – 2 “, come per una felice “ gemmazione scientifica “, nacque la portentosa famiglia dei calcolatori “ M “sovietici . Computer eccezionali, versatili, potenti . Il modello “ M – 20 “ fu l’esempio più eclatante di questa nuova famiglia, con ben 20.000 operazioni al secondo realizzabili. La serie “ M “ divenne la migliore al mondo, e gli ambienti accademici occidentali fecero di tutto, nella loro stragrande maggioranza, per occultare questa scomodissima verità.
Nel 1958, sotto la guida di V.S. Burtsev, allievo di S.A. Lebedev, vennero costruiti vari macchinari con le sigle “ M – 40 “ e “ M – 50 “, veri e propri mostri sacri che potevano compiere operazioni a distanze anche di 200 km. Questa fu la prima rete informatica creata a livello mondiale, altro che la rete creata negli Usa, nel 1965, quindi sette anni dopo, a partire dai calcolatori “TX – 2”, dell’Istituto Tecnologico del Massachusetts, e “ Q – 32 “ della SDC Corporation di Santa Monica ! Anche qui, la disinformazione ha regnato e continua a regnare sovrana ! Gli “ M – 40 “ e gli “ M – 50 “ furono a tal punto apprezzati da essere utilizzati, con successo, come cervelli cibernetici dei sistemi missilistici di difesa, sotto la sapiente egida dello scienziato V.Kisun’ko. Nel 1966, l’Urss realizzò il “ BESM – 6 “, che sconvolse il mondo scientifico delle nostre latitudini per un record stupefacente, ineguagliabile (allora) e frutto di un apparato tecnico – operativo ormai primo al mondo : 1.000.000 di operazioni al secondo ! Il computer in questione era in grado di eseguire, simultaneamente, anche 14 operazioni diverse. Per non restare indietro, in un gap che si prefigurava come incolmabile, la comunità degli scienziati informatici occidentali dovette per forza, nel quadro degli scambi di informazioni e cognizioni, sempre più frequenti col nuovo clima di “ distensione “, attingere al lavoro dei colleghi sovietici. Pertanto, il “BESM – 6 “ divenne la base per il successivo sviluppo dell’informatica non solo in URSS, ma in tutto il pianeta. Il Centro Internazionale per la Ricerca Nucleare, con sede in Svizzera, lo utilizzerà con immense soddisfazioni e risultati eccellenti. Non solo : durante la missione spaziale congiunta “ Soyuz – Apollo “, grazie al “BESM – 6“ i sovietici ricevettero i dati telemetrici minuto per minuto, mezz’ora almeno prima degli statunitensi.
Negli stessi anni nei quali veniva progettato e realizzato il “ BESM – 6 “ dall’equipe di Lebedev, l’Accademico Viktor Mikhajlovich Glushkov ( 1923 – 1982 ), con la sua squadra di prima qualità, metteva a punto il calcolatore “ Ucraina “, capostipite di tutta una fortunata serie di cervelli elettronici utilizzati, nella loro concezione, dagli scienziati statunitensi negli anni ’70. Fu sempre il gruppo di Glushkov a concepire il calcolatore “ MIR “, antenato del personal computer, che anticipò di venti anni e più analoghi modelli statunitensi. Nel 1968 uscì il “ MIR – 1 “, versione perfezionata rispetto al modello base, pesante 400 kg e capace di compiere un’operazione di addizione in 50 microsecondi. Gli statunitensi provarono a citare l’URSS, in sede internazionale, per plagio, in ordine a questo modello, ma ai sovietici fu facile dimostrare che alcuni procedimenti, brevettati dagli scienziati degli Usa nel 1963, erano noti alla comunità scientifica dell’URSS da molto tempo prima.
Un’altra storica famiglia di computer sovietici è, senza dubbio, quella dei modelli “Elbrus“, avanzatissimi per concezione e prestazioni. La loro progettazione avvenne grazie al patrimonio di saperi e di esperienze maturate dalla squadra del grande Lebedev, guidata, dopo la sua scomparsa, da Vsevolod Sergheevich Burtsev ( 1927 – 2005 ). Nel 1979 fu lanciato il modello “ Elbrus – 1 “, capace di 12.000.000 di operazioni al secondo. Esso precedette, sia pure di pochi anni, i multiprocessori occidentali più avanzati. Sue caratteristiche di spicco : 1) microprocessore con architettura superscalare, ovvero con garanzia di prestazioni superiori rispetto ad un processore centrale elementare nelle operazioni effettuate a parità di segnali periodici ( i clock ); 2) sistema operativo unificato; 3) elaborazione parallela dei dati attraverso la pipeline dei dati. Alla fortunata sortita dell’ “ Elbrus – 1 “ seguì quella non meno coronata da successo dell’ “ Elbrus – 2 “, capace di eseguire 125.000.000 di operazioni al secondo coi suoi 10 processori. Tale computer era assai energivoro e necessitava, pertanto, di un complesso sistema di raffreddamento, particolare questo che verrà gradualmente eliminato dalle successive evoluzioni. L’ “ Elbrus 3 “, ultimo modello dell’era sovietica, sviluppato dal 1986 al 1994, sotto l’egida di Boris Artashesovich Babayan ( 1933 ), non venne messo in produzione, è vero, ma costituì la base per il successivo “ Elbrus 3 – 1 “ del 1993 a design modulare, che costituì un salto ulteriore di qualità, essendo capace di compiere ben 500.000.000 di operazioni al secondo, e trovò largo impiego nella gestione degli archivi economici e scientifici. Esso era ben due volte più veloce del computer statunitense “ Cray M – P”, molto simile nella concezione. La serie “Elbrus“, in generale, date le sue eccezionali prestazioni fu ampiamente utilizzata nell’elaborazione delle informazioni radio, nella difesa missilistica e nella tecnologia spaziale. Il dato storico più importante, comunque, fu la presenza, nel gruppo degli scienziati che dettero vita a questi prodigi, battezzati con il nome del leggendario monte caucasico, di Vladimir Mstislavovich Pentkovskij ( 1946 – 2012 ), giovane scienziato prodigio, prematuramente scomparso. Un autentico genio, figlio del non meno geniale scienziato Mstislav, che creò il linguaggio di base denominato “ Autokod Elbrus El 76“ e, nel 1990, mise a punto, dopo quattro anni di ricerca, il potentissimo processore “ EL – 90 “ . Caduta l’Urss nel 1991, Pentkovskij si trasferì negli Usa e divenne ingegnere capo della famosa ditta “ Intel “, per la quale lavorò alla creazione di un microprocessore destinato ad entrare negli annali della storia: stiamo parlando nientemeno che del “ Pentium “, così chiamato in suo onore. Nel 1995, esso conobbe un ulteriore sviluppo con il “Pentium Pro “, da tutti esaltato e riconosciuto universalmente come l’ultima frontiera dei microprocessori, anche se non tutti sanno che l’ “ EL – 90 “, ideato dalla stessa mente, era più potente ancora.
Insomma, la storia dell’informatica sovietica, della quale ci occuperemo dettagliatamente anche in futuro, è una storia che ci riguarda da vicino : i nostri personal computer non sarebbero stati certo quello che sono senza il contributo delle acquisizioni degli scienziati sovietici . Soprattutto, visto il possente sviluppo dei PC in Urss negli anni ’80, non è esagerato dire che, senza la scientifica destabilizzazione dello Stato sovietico, con il suo crollo deciso a tavolino da traditori, rinnegati e agenti stranieri legati alle centrali imperialiste, a partire dagli anni ’90 l’informatica, in tutto il mondo, avrebbe parlato russo e scritto in cirillico. Le multinazionali e le corporations, dalla IBM alla INTEL, sono state assai svelte, una volta venuto giù il “ sipario di ferro “, ad accaparrarsi le menti più brillanti della comunità scientifica e informatica sovietica ed est – europea in genere, con le loro conquiste maturate sul campo in anni e anni di ricerche e perfezionamenti. Senza quel patrimonio, non si sarebbe certo all’età della pietra oggi, ma sicuramente non si sarebbero varcate, nel campo oggetto della nostra ricognizione, le colonne d’Ercole del Medio Evo.

Fonti

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